Giulio Risi è nato a Salerno e ha esordito professionalemente all’ inizio degli anni novanta. E’ considerato un musicista estremamente versatile e lavora in tutto il mondo come pianista, compositore, produttore e leader della sua band.
In occasione del suo nuovo disco "Deep down where the heart beats no more" (presentato al Teatro Nazionale Reale di Londra il 15 Dicembre) che vede la collaborazione di noti nomi del panorama musicale internazionale come Gilad Atzmon ai Sax (Peter Gabriel/Robbie Williams), Henry Thomas al Basso Fretless (Sarah Jane Morris/Paul Weller/Alan Holdsworth), il rapper B. Atwell (Oasis), Asaf Sirkis alla Batteria (Chick Corea, Tim Garland), Rocco Zifarelli alla chitarra acustica (Ennio Morricone, Giorgia, Ivano Fossati), Koby Israelite alla batteria (John Zorn), Antonio Onorato alla Chitarra Elettrica (Toninho Horta, Pino Daniele) e tanti altri, l’ho intervistato per saperne di più.
Un po' di biografia. vuoi dirci due parole su di te?
Non c’è molto da dire; sono una persona vocata a una dimensione onirica.
Da quanto vivi a Londra ?
Da dieci anni. E’ una città a cui devo molto, sono riuscito a crescere grazie alle sue catene.
Catene?
Mi riferisco alle catene di musicisti, alle commistioni. Per dirne una, gli amici che sono parte della mia band alternano i nostri concerti a tour con Steve Winwood e, in passato, Paul Mc Cartney, Bjork, Lisa Stansfield e Pet Shop Boys (parlo del batterista Davide Giovannini), e con Sarah Jane Morris (il bassista Henry Thomas), anche i "trascorsi" di Henry sono importanti e contano le presenze di Alan Holdsworth, Paul Weller, Hot Chocolate e moltissimi altri; ciò li pone a contatto con altri musicisti di alto calibro con i quali instaurano un rapporto di mutuo scambio musicale. A mia volta, oltre ai concerti con il trio sono coinvolto nei tour della band progressive rock “Jadis” insieme a musicisti che - ecco il prossimo "anello della catena" - fanno parte della band di John Wetton (già membro dei King Crimson oltre ad essere fondatore e cantante degli “Asia”).
Che tipo di musica che suoni in questo periodo?
Al momento il mio parco giochi è fatto di concerti latin jazz e glorioso rock vecchio stampo.
Quindi, "Viva l'Inghilterra"?
Mah... Viva ogni luogo vivo. Certamente Londra lo è, la possibilità di coinvolgimento in un coacervo di mondi è senz'altro un nutrimento, divieni parte di una cultura che accresce se stessa, una conoscenza in espansione. La multiculturalità, le contaminazioni, il sentiero principe che conduce alla crescita. Il mio ultimo Cd “Deep down where the heart beats no more” è appunto un omaggio a questa cultura delle culture, un pentolone all’interno del quale ho fuso il mio viaggio virtuale attorno al mondo; undici brani, ognuno a sé stante (poiché appartenente a una diversa nazione) ma parte dello stesso quadro, un quadro dipinto non con colori: con ritmi di civiltà.
La musica per te?
Un misto di Sade e Von Masoch.
Qual è il quadro globale della contaminazione odierna?
La musica che sento in giro mi sembra in gran parte manieristica, tuttavia non sta a noi giudicarla, lo faranno semmai i posteri. Quando agli albori del 1900 la gente ascoltava Ravel, Debussy o Bartok non poteva di certo sapere che quelle sonorità sarebbero sfociate in Bill Evans o Jarrett. Parimenti, ai contemporanei di Bach non era dato sapere che la musica barocca sarebbe confluita in cose diametralmente diverse, ad esempio nei fraseggi di Parker o in quelli dell’onnivoro Corea.
Credo che la vera innovazione consista nel guardarsi alle spalle e dimenticare quanto si è visto. Bisogna creare in uno status di tabula rasa. A cavallo tra il 1904 e il 1907 l’Architetto di Dio Antoni Gaudì, in un momento di pausa della costruzione di Casa Baitllò appuntava “Chi copia non contribuisce” , scrivendo questo non rinnegava certo l'arte da cui aveva tratto nutrimento, sviscerava viceversa un concetto preclaro: bisogna incamerare delle cose producendone altre. Semplice. Poi possiamo certamente fondere le discipline, convergere su cose nuove, dar seguito a quanto Wagner auspicava in “Opera d'arte dell'avvenire” , e cioè a un’opera d’arte totale in cui confluiscano poesia, musica e arte figurativa, ignorando se possibile il vaticinio che seguiva questa sua idea (la premonizione che - in caso contrario - l'arte si sarebbe sfasciata, frantumata in singole Opere non sarebbe più stata in grado di realizzare la vera Opera). Ecco, forse questa seconda parte è un po' catastrofica (ma siamo nella metà dell'Ottocento, ci sta), quanto alla prima, mi pare sia stata in gran parte realizzata da certo cinema.
Per concludere, qual è il futuro dell'arte che ci attende?
Il futuro dell'arte è nel passato, ma in un passato da dimenticare.
Anna de Rosa per "Il Brigante"