Tradurre in note le parole o tradurre in parole le note, operazione simile per Giulio Risi, tanto che si sarebbe tentati di argomentarne i pensieri proposti nel booklet: il pianista ha in animo un'opera che possa incorporare più forme d'arte assieme, musica oltre la musica, foto in chiaroscuro, notturne, d'improvviso lampi di luce come sussulti interiori. Giulio dice: "Provo difficoltà a scrivere di ciò che faccio… questo cd ha accompagnato la mia vita in una fase che ha alternato il tragico al tragicomico… io non riesco a parlare di musica, riesco forse a farla." Sì, ci riesce, ed è la voce più intima quella che si ode, frammenti di sensibilità che si fanno luce nella meditazione sul pentagramma che è "Il risultato di un lungo e fortemente voluto periodo di solitudine. Un arco sabbatico per un necessario confronto con me stesso,con ciò che sono o credo di essere… I brani composti sono un tentativo di liberarmi di quelle voci, quelle melodie, quelle armonie che mi hanno attraversato per anni… convinto che il fine ultimo della creazione di qualsiasi forma d'arte sia quello di liberarsene, di sollecitare l’urgenza di sradicarla dalla mente affinché non ne si sia più tormentati.”
Ma siamo qui per parlare di musica, innanzi tutto. Il pianismo di Giulio risulta colto, versatile, creativo; meditato, soprattutto. Il cd è concepito come un viaggio attorno al mondo: dall'Africa di "Aria" al flamenco di "Walking at the Alhambra", dal samba ("Deep down") al bolero ("Passati presenti"), dall'hip hop ("Piano &Bit") al be bop ("Just to let you know"). Nell'avventura il pianista è in compagnia di molti musicisti validi, tra i quali danno prova particolarmente convincente Henry Thomas e Asafs Sirkis, che fanno parte della Band di Risi, Rocco Zifarelli, chitarrista estroso e tecnicamente agile, Gilad Atzmon, sassofonista raffinato e particolarmente congeniale alle scelte estetiche del Nostro. Le armonie giungono eteree, fluttuanti, animate da una sensibilità molto personale sia quando Giulio s'accosta al multietnico sia quando, in modo poliedrico, più briosamente esibisce prove di diversa complessità, come in "Pay me peanuts". Poi "Song for Carmelo Bene", andamento classicheggiante, i versi di Dino Campana: toni elegiaci ma non banalmente nostalgici, anzi, una memoria felice, un rimando al passato, amplificato dal timbro scelto per le corde. Echi di memoria, lontani, frequenti nell'album di Giulio, ma anche un calipso ("Calipsocongo") in cui prepotenti ed ariose giungono note, prorompenti di vitalità e passione, secondo un fraseggio, un tempo di "lettura" discreta, con una piacevole ironia di fondo, sottolineata dal sax e dagli inserti sia vocali sia strumentali. Echi di memoria, ma anche "Just to let you know", una prova di stile, un post-bop in cui tutti gli artisti possono emergere nei propri assoli, secondo il linguaggio jazzistico più riconoscibile. L'undicesima track, "Scala dal paradiso": commuove il tocco silenzioso, l'eco intima di qualche notte ventosa in cui dover dare spazio all'anima, uno spazio che non basta mai, che corre alle stelle, alla luna, nell'autostrada del cielo che fugge via, lontana eppure al Nostro accanto, nell'anima del ricordo, nell'elegia costante e necessaria d'una musica che non conosce pause, letta secondo forme emozionali pacate, luminose, ancora una volta "silenziose", tanto da non poterle mai perdere, anche a cd finito.
Fabrizio Ciccarelli per "Jazzitalia"
Deep Down Where the Hearts Beats No More profuma di sud, di dolci brezze rese torride dal sole. L’album è stato registrato fra Londra e Napoli, con una doverosa capatina in Andalusia per la chitarra flamenco e le percussioni. I riferimenti latineggianti sono ben inseriti nel contesto. I preziosi contributi del saxofonista Gilad Atzmon, del chitarrista Rocco Zifarelli, del bassista Nick Haward e di molti altri, danno lustro ad un lavoro che è un vero e proprio atto di amore per la solarità, in netto contrasto con la dichiarazione dell’amore per il buio che Giulio Risi scrive nelle note di copertina.
Maurizio Comandini per "All about Jazz"
L’unità stilistica della proposta viene garantita dalla grande padronanza con la quale Giulio Risi si muove nei meandri delle sue varie composizioni e questo è indicatore inconfutabile della saldezza e della serietà della sua preparazione tecnica e culturale. Con questo lavoro Giulio, un musicista salernitano che da una decina di anni ha scelto Londra come propria base operativa, ha voluto rendere omaggio all’universo sonoro che lo ha attratto nel periodo della sua formazione artistica e professionale.
Giulio è un artista poliedrico che nutre la sua curiosità intellettuale testandosi anche in altri settori come la letteratura e la poesia. Come dice egli stesso nelle note (non musicali) del libretto, “Deep down where the heart beats no more” è un CD concepito come un viaggio attorno al mondo. Ecco quindi riecheggiare in un brano melodie che suggeriscono ambientazioni africane e la proposizione, in un altro, di stilemi tipici del flamenco (con un approccio tipico di Chick Corea, un musicista che in passato ha dedicato parte del suo tempo alla ricerca in questo genere). Altri pezzi percorrono altri stili (funk, samba, calypso, hip hop, be bop ed altro). Di notevole interesse è la riproposizione sotto forma di ballad jazz di un famoso brano di Edoardo Bennato “La Fata”, che fa parte di Burattino senza fili, un leggendario “long playng” di questo cantautore. Un’altra composizione particolarmente suggestiva, a cui l’autore è particolarmente legato, è “Song for Carmelo Bene” scritta da Giulio Risi la notte successiva alla morte di questo genio assoluto del nostro teatro.
Alla luce di quanto ho appena detto, questo vasto assortimento di stili potrebbe far pensare ad un prodotto eterogeneo e dispersivo. Non è affatto così. È del tutto lecito affermare che il CD presenta caratteristiche che ne esaltano la buona qualità: è ben suonato (ottimi i musicisti che hanno collaborato tra i quali Gilad Atzmon ai saxes, Henry Thomas al basso Rocco Zifarelli e Antonio Onorato alle chitarre, Koby Israelite e Asaf Sirkis che si alternano alla batteria ed altri), ben registrato e missato (a cura di Martin Keating che ha lavorato con i Pink Floyd, Led Zeppelin, John Williams, Rod Stewart, Paco Pena) e si basa su musiche convincenti in tutti i “settori” esplorati. Giulio Risi dichiara che quanto scritto nel libretto è da considerarsi parte integrante del progetto, così come le foto. Letteratura, poesia e fotografia vengono pertanto utilizzate sempre in funzione del discorso musicale, che resta il punto di riferimento principale.
Per Giulio Risi questo lavoro rappresenta un viaggio nella memoria. Una memoria che, al di là dei riferimenti a situazioni particolari (che possono essere intesi come “effetti collaterali”), viene considerata un'alleata affidabile. Una memoria che guida il nostro agire. Come dice Eugenio Barba nel suo libro La canoa di carta: E’ la memoria che permette di penetrare sotto la pelle dell’epoca e di incontrare i molteplici cammini che portano all’origine, al primo giorno. Louis Jouvet una volta affermò qualcosa di lampante ed enigmatico: “Esiste un’eredità di noi a noi stessi”. Sono grato a Giulio Risi per questo suo lavoro.
Piero Quarta per "Prove Aperte”
Polistrumentista attivo a Londra da un decennio nel latin jazz, nel pop e nel progressive rock, Risi firma un secondo album, all’insegna del world jazz: undici brani con organici diversi ed ospiti illustri che assorbono e gestiscono influenze folcloriche e vortici modernisti, per ricreare un suono accattivante, variato e multiforme.
G.M per "Musica Jazz"
Con mia grande soddisfazione sto scoprendo un rifiorire nel Jazz Italiano e anticipo che il prossimo "Top CD of the week" sarà l'ultimo CD di Giulio Risi, uno dei più belli mai arrivati in radio. Brani emozionanti, una miscela esplosiva di generi musicali che solo un grande artista è in grado di realizzare.
Vinilemania
Giulio è riuscito a sorprendermi e garantisco che incamerando una quantità industriale di CD da ascoltare (dall'Italia e dall'estero) è difficile sorprendermi e darmi l'impressione di ascoltare qualcosa di diverso. Il CD ha dei bei momenti di vivacità e diversificate potenzialità. Si avverte chiaramente l'armonia italiana, la vena europea, ricca di quell'ampiezza sonora, colta e popolare, che rende il background del nostro continente veramente unico. Le composizioni sono davvero belle, rispettose e amorevoli verso il grande passato, ma filtrate, reinventate e vissute con spirito moderno, arioso ed intelligentemente - quanto misuratamente - aperto verso il pop e l'elettronica. Un progetto che si avverte come mai uguale a se stesso, capace di rinnovare il piacere dell'ascolto, con la garbatezza di un'anima gentile come deve essere sicuramente la sua.
Bruno Pollacci per "Anima Jazz"
Avvalendosi di un gruppo enorme di musicisti straordinari Giulio Risi ha creato un raro lavoro di gusto, atmosfere sofisticate e personali che lo confermano artista a tutto tondo e lo collocano in alto nel panorama musicale europeo. I sassofoni di Gilad Atzmon, le linee di basso di Henry Thomas , la chitarra di Antonio Onorato convergono e impercettibilmente si fondono con il piano e le tastiere di Giulio. Menzione speciale per la favolosa atmosfera del brano Aria che apre il Cd, i riffs ariosi di Calpisocongo e il funk delicato di Piano & Bit. Un disco favoloso.
Keith Ames per “Musician
Questo Cd è un viaggio onirico che si compie grazie agli undici brani composti da Giulio Risi. I pezzi combinano la musica spagnola al be bop passando attraverso la musica latina, africana, il funk e la musica classica. Il Cd incorpora più forme d’arte insieme; oltre la musica dunque, fotografie e testo interno sono altrettanto rilevanti.
Ogni brano è a sé stante (in quanto appartenente ad una diversa cultura musical-popolare) ma parte di un solo quadro dipinto, più che con colori, con ritmi di civiltà. “Schegge di memoria, ricordi che schizzano fuori dalla tabula rasa che vivo ogni volta che siedo al piano".
L’autore vive tra Londra e Roma e lavora in tutto il mondo come musical director, pianista/tastierista, arrangiatore e leader della sua band. I suoi brani sono indubbiamente reminiscenti dei tanti generi che hanno contribuito a plasmare la sua versatilità di musicista ed essere umano.
Letizia Pozzo per ”Viva Verdi"
Deep down where the heart beats no more segue un percorso che attraversa sentieri variegati, una conduzione musicale che si avvale di formazioni differenti, in alcuni brani dedica uno sguardo attento alla forma canzone.
In questo disco il leader interpreta la propria visione musicale attraverso stili e generi differenti: dalle sonorità fusion alle atmosfere latin, dal blues al tango, dal R&B alle dinamiche del rock con accenti che, di volta in volta, richiamano il progressive e la ballata; infine, la dimensione sonora del jazz, lo swing, l'attitudine all'assolo. Varietà che, nel corso dell'ascolto, propone alcuni scatti netti come ad esempio accade nella successione tra il tango di Passati Presenti e le atmosfere africane e festose di Calipsocongo.
La varietà della direzione musicale risalto nella varietà delle formazioni che si susseguono nel corso dei brani e nell'etoregeneità dello stile del leader. Si susseguono ritmiche acustiche, elettroniche o arricchite dalle percussioni; si alternano voci e strumenti etnici che si mescolano al jazz. É evidente come la varietà sia un risultato cercato da Risi: la costruzione dei brani e la scelta degli organici è un chiaro segnale di tale ricerca. Molti composizioni presentano una struttura ampia e alcune melodie potrebbero accogliere senza difficoltà la voce di un cantante, una scelta che Giulio Risi evidenzia con la sua versione de "La Fata" di Edoardo Bennato e musicando una poesia di Dino Campana, in "Song for Carmelo Bene".
Un disco che presenta quindi l’attitudine a muoversi in direzioni diverse, sia dal punto di vista sonoro sia interpretativo, per dare vita a episodi variegati, per esplorare senza timori reverenziali generi e sonorità.
Fabio Ciminiera per "Jazz Conventions"
Deep down where the heart beats no more presenta undici tracce che c'immergono nel mondo musicale di Giulio Risi, un cammino magico che si propaga in più direzioni possibili. Per ogni canzone del disco sarebbe necessaria una recensione, in quanto ognuna appartiene a mondo a sé, con influenze differenti dalla traccia precedente e da quella successiva pur mantenendo l’atmosfera sofisticata e personale caratterizzante l’artista. Le varianti toccanti in questo disco sono davvero tante e notevoli: si passa da sonorità fusion al blues, ad atmosfere latine e africane, al tango, alla melodia, fino ad accenni rock con sprazzi di sonorità progressive, tutto ciò mandenendo sempre il jazz come colonna portante della sua musica e delle sue composizioni. Un disco notevole in ogni sua forma in cui emerge una spiccata creatività dell’artista frutto di un’elevata cultura musicale e artistica.
UBIX Magazine